Risanare i debiti ai tempi del Covid-19: vie d’uscita (non troppo nuove) per privati e piccole imprese

In questo particolare momento storico in cui l’emergenza economica e la conseguente crisi legata alla pandemia da Coronavirus mettono a dura prova, non solo le grandi aziende, ma anche e soprattutto le attività di privati e delle piccole imprese, si rivela di grande attualità la cosiddetta “legge anti-suicidi”.

Emanata all’indomani del crack Lehman ed ormai esistente da quasi un decennio, la legge n. 3/2012 sul sovraindebitamento offre infatti una concreta opportunità ai privati cittadini ed alle piccole imprese non soggette al fallimento di poter addivenire ad un accordo agevolato con i creditori e, dunque, di risanare la propria posizione debitoria.

Si tratta di una normativa che, benché ancora scarsamente utilizzata, potrebbe dunque rappresentare oggi, più di quanto lo fosse all’epoca del suo concepimento, uno strumento valido ed efficace per affrontare quelle situazioni di crisi che già si stanno profilando sin dal lockdown.

La legge n. 3/2012 – così come il Codice della Crisi, che entrerà il vigore a settembre 2021 – disciplina infatti espressamente la crisi o l’insolvenza di tutti quei soggetti esclusi dal fallimento: piccoli imprenditori commerciali, imprenditori agricoli (in quanto ‘non commerciali’), i consumatori ed i professionisti (non essendo imprenditori), e le start up innovative (fisiologicamente incompatibili con le tempistiche delle procedure concorsuali).

Nell’ipotesi in cui i soggetti così individuati non siano più in grado di soddisfare le proprie obbligazioni, versando in una situazione di difficoltà economica tale da rendere probabile l’insolvenza (il cosiddetto sovraindebitamento), possono pertanto ricorrere alle procedure ivi previste e che, in relazione alle diverse situazioni di riferimento, sono tre: il piano del consumatore, l’accordo di composizione della crisi e la liquidazione.

Il piano del consumatore è la procedura espressamente rivolta ai soli consumatori, nell’accezione di persone fisiche che hanno contratto i propri debiti per ragioni personali (ad esempio spese mediche, tempo libero, vacanze, spese straordinarie per la casa) e non legate all’attività di impresa o commerciale eventualmente svolta, e vede quali parti essenziali il debitore istante, un Organismo di composizione della crisi (OCC) ed il giudice. Il debitore avanza al giudice competente una proposta, in forma libera, di soddisfacimento dei propri creditori (in maniera similare a quanto avviene in una procedura concordataria) per il tramite di un OCC. Valutata la meritevolezza del debitore istante e la fattibilità della proposta, il giudice procede all’omologa del piano, nell’ambito del quale i creditori possono solo sollevare contestazioni, ma non certo votare la proposta medesima (diversamente da quanto accade sempre nell’ambito del concordato).

L’accordo di composizione della crisi, invece, è destinato a tutti i soggetti non fallibili, non solo i consumatori ed i professionisti (che hanno, dunque, una doppia chance, il piano e l’accordo), ma anche gli imprenditori esclusi dal fallimento. In questa procedura, invece, è necessario il voto favorevole del 60% dei crediti ammessi al voto (come per il concordato), voto probabilmente condizionato da un’offerta di pagamento che, benché in percentuale ridotta, evita al creditore medesimo i costi, le attese e l’incognita di quella che sarebbe una procedura esecutiva ordinaria. A differenza, dunque, che per il piano, in questo caso non è necessaria la valutazione del Tribunale, bensì il voto favorevole dei creditori.

La liquidazione, infine, è di fatto la procedura assimilabile al fallimento, di cui ricalca svolgimento e finalità, essendo volta alla vendita dell’attivo al fine della distribuzione del ricavato tra i creditori.

Tanto il piano del consumatore quanto l’accordo di composizione della crisi omologati sono obbligatori nei confronti di tutti i creditori anteriori (come avviene nel concordato), con conseguente esdebitazione automatica quale liberazione da tutti i debiti residui eccedenti la misura concordataria. La liquidazione, invece, prevede la possibilità dell’esdebitazione solo a richiesta del debitore, anche se il Codice della crisi introdurrà anche per tale procedura l’esdebitazione automatica (solo tre anni dopo l’apertura o comunque dopo il provvedimento di chiusura).

Rispetto alla legge n. 3/12, il Codice della crisi introdurrà inoltre la possibilità di esdebitazione del sovraindebitato anche nell’ipotesi di totale incapienza ossia qualora non possa essere offerta alcuna utilità ai creditori. Il ricorso a tale chance, tuttavia, sarà concesso per una sola volta e fermo l’obbligo per il debitore di pagamento del debito nei quattro anni successivi qualora pervengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10%.

È di facile intuizione, dunque, che le procedure così sommariamente esposte possano davvero costituire un’ancora di salvezza per tutti quei soggetti che, soprattutto oggi e dopo la ripresa post-quarantena, potrebbero trovarsi in una situazione di crisi economica problematica da gestire e dalla quale potrebbe sembrare difficile, se non impossibile, uscire.

Occorre allora una sensibilizzazione sul tema e sulle possibilità offerte dalla legge, continuando la svolta culturale che il legislatore aveva già inteso perseguire nel 2012, e, chiaramente, il ricorso a professionisti che possano supportare il debitore in questo percorso di risanamento del proprio debito.

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